ROITI – MIT: LA STORIA CONTINUA …

Il MIT insegna al Roiti anche quest’anno

Prosegue per il secondo anno il progetto “Hands On Physics with MIT” nell’ambito dei laboratori targati Global Teaching Labs

di Giulia Andreolini, Benedetta Cestari, Irene Gobbato, Elisa Gnani  (Liceo Scientifico Roiti di Ferrara, classe 5P,  Anno 2019)

Aree tematiche di riferimento: le STEM in generale
Stato del Progetto: in essere

Si è conclusa felicemente anche per quest’anno l’esperienza di collaborazione tra il nostro Liceo Roiti di Ferrara e il prestigioso Istituto di Tecnologia del Massachusset di Boston (MIT) che ha visto coinvolti 50 studenti del triennio, scelti quest’anno sulla base della loro media scolastica. Le attività sono state precedute da una fase preparatoria che ha visto coinvolti, con modalità di peer education, gli studenti che avevano svolto l’esperienza l’anno precedente e che hanno proseguito la collaborazione supportando, in qualità di tutor, le successive attività di gruppo. Queste hanno riguardato temi quali la levitazione magnetica o la costruzione di un braccio artificiale.

Il progetto, che si pensa di proseguire nei prossimi anni, ha visto la partecipazione attiva del Dipartimento di Fisica dell’Unife e delle scuole secondarie di primo grado Boiardo e Alighieri.

Hanno coordinato l’iniziativa per il nostro Liceo la Prof. Maria Cristina Trevissoi e, per il MIT, il Prof. Ed Moriarty. Il progetto ha permesso al Liceo di vincere un concorso indetto dalla Regione Emilia-Romagna per avere contribuito all’avvicinamento dei giovani alle materie scientifiche e verrà presentato prossimamente da alcuni studenti a Kassel (Germania).

Il punto di vista dei ragazzi

Diego Andreoli, studente della classe 5M dell’indirizzo sportivo del liceo Roiti, ha partecipato anche quest’anno al progetto. L’anno scorso aveva preso parte, insieme a 5 suoi compagni di classe, allo sviluppo del progetto “wind tunnel”, mentre quest’anno, sempre insieme ai suoi compagni, sta svolgendo un progetto che si propone di costruire una bobina di Tesla in modo da poter studiare il fenomeno dell’induzione elettromagnetica.

Il progetto delle bobine di Tesla prevede la costruzione di una bobina che possa essere collegata ad un telefono, attraverso vari circuiti, così da poterla poi far suonare, utilizzandola come una cassa. È presente inoltre una macchinina le cui luci vengono accese grazie all’induzione elettromagnetica. La bobina è collegata ad un circuito il quale è a sua volta collegato ad un telefono cellulare mediante un cavo audio. In questo modo, quando dal telefono viene riprodotta una canzone, la corrente elettrica scorre nelle 5 grosse spire alla base. All’interno di esse è poi presente una bobina di Tesla di circa 800 spire sottili, la quale si carica per induzione e crea dei piccoli fulmini o scintille di plasma al termine della bobina stessa. Questi funzionano come le corde di una chitarra, infatti accendendo e spegnendo velocemente la bobina, seguendo le particolari frequenze delle note musicali, vengono generate piccole variazioni della pressione dell’aria che hanno la stessa forma d’onda del suono. Scaricando in aria quindi la bobina produce onde sonore. Le onde vengono quindi modulate attraverso questo strumento dal telefono. Davanti alla zona in cui si creano i fulmini di plasma è presente inoltre una sorta di imbuto che funge da amplificatore, paragonabile a quello presente nei vecchi giradischi. In questo modo la bobina è in grado di amplificare il suono della musica, riprodotta dal cellulare, come fosse una cassa.

Gli studenti all’interno dei gruppi si dividono il lavoro. Nel gruppo di Diego, in particolare, lui ed un suo compagno hanno costruito la bobina, mentre gli altri ragazzi si sono concentrati sulla costruzione della macchinina.

Diego ha riscontrato alcune difficoltà nell’apprendimento in lingua inglese in quanto a volte è stato necessario spiegare nuovamente alcuni concetti con più calma e questo ovviamente ha portato a procedere un po’ più a rilento. Tuttavia ritiene che l’aiuto delle professoresse e degli studenti che conoscono meglio la lingua inglese abbiano permesso una maggiore collaborazione ed una maggior comprensione, perciò dice di non aver mai rilevato grandi difficoltà nell’apprendimento.

Infine Diego ritiene che il metodo di insegnamento americano consenta un maggior apprendimento grazie al metodo “hands on physics” che permette di comprendere appieno il funzionamento della strumentazione che si sta costruendo. Tuttavia sostiene anche che sia però necessaria una forte base teorica, pari a quella prevista dalla didattica italiana.

Anche Davide Zolli, studente della classe 4A dell’indirizzo tradizionale del liceo Roiti, ha partecipato al progetto “HANDS ON PHYSICS with MIT”, lavorando alla costruzione di un guanto in grado di riprodurre determinate note musicali piegando le corrispondenti dita. I sensori flex sensor riescono a riconoscere l’angolo di flessione delle dita così da permettere poi la produzione della nota. Un primo prototipo di questo guanto è già stato realizzato ed ora Davide ed il suo gruppo ne stanno realizzando un altro da poter impiegare nel campo della riabilitazione, così gli esercizi per la mano risulterebbero divertenti ed il processo di riabilitazione potrebbe risultare più leggero e giocoso. A parer nostro la decisione di produrre questo oggetto nell’ottica di alleggerire un processo doloroso e difficoltoso è degno di grande lode e nota.

Davide non ha avuto difficoltà nell’apprendimento in lingua inglese in quanto ha vissuto per quattro anni negli Stati Uniti. Inoltre ha notato che anche per gli altri ciò non ha costituito un ostacolo invalicabile in quanto l’atmosfera di collaborazione ed aiuto reciproco ha sempre permesso il regolare svolgimento delle lezioni.

Infine ritiene che la pratica in laboratorio permetta di accelerare l’apprendimento della fisica, riconoscendo comunque l’importanza dello studio teorico. Dice inoltre di aver imparato cose che non si sarebbe mai aspettato di imparare semplicemente studiando il suo libro di fisica.

Cosa ne pensano i professori?

Anche quest’anno, è stata la prof.ssa Trevissoi a seguire e coordinare lo svolgimento del progetto “HANDS ON PHYSICS with MIT” nel liceo in prima persona, sempre affiancata da Ed Moriarty, docente del MIT.

In particolare, la professoressa ci ha raccontato di essere rimasta, se possibile, ancora più entusiasta e soddisfatta per la riuscita del progetto rispetto agli anni precedenti. Il motivo, secondo la Trevissoi, sarebbe la grande responsabilizzazione e indipendenza acquisita dai ragazzi durante i mesi in cui hanno lavorato ai loro progetti. Essi hanno infatti sviluppato un metodo di apprendimento diverso dal consueto, acquisendo la competenza di “imparare ad imparare”, come la definisce la prof. Trevissoi. Questo perché dovendo gestire in completa autonomia il proprio lavoro, affrontando ogni imprevisto utilizzando solo le proprie forze, i ragazzi hanno accresciuto la propria autostima, diventando flessibili all’acquisizione di nuove conoscenze, senza necessariamente l’utilizzo di libri di testo, ma anche grazie alla propria esperienza sul campo.

Questa, secondo la prof. Trevissoi, è un’abilità che difficilmente si può allenare attraverso l’attuale metodo di insegnamento scolastico, ed è per questa ragione che il contributo di “HANDS ON PHYSICS with MIT” diventa così prezioso per gli studenti e soddisfacente per i professori.

Qui trovate il link per vedere il video in cui Diego spiega il suo progetto:

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